Biennale di Venezia 2015 – 56a edizione

il tema di quest’anno, All the World’s Futures, è un arduo tentativo di indagine sul mondo, sulle lacerazioni e le fratture, le incertezze delle prospettive associate a un colossale progresso della tecnologia. Una mostra globlale per interrogare e ascoltare quello che gli artisti hanno da dirci sul futuro, sui vari scenari che ci si prospettano.

Una delle prime installazioni che ho visitato, un evento esterno a Giardini ed Arsenale, è Conversion, un progetto di “Archeologia futura”. Il Recycle Group presenta una nuova era dove globalizzazione delle reti e culto delle nuove tecnologie sono paragonabili ad una conversione al cristianesimo, dove internet è il nuovo veicolo di fede e devices e social gestiscono ogni momento dell’attività umana. Il che, anche se proposto in chiave simbolico-mistica, non sembrerebbe un futuro troppo lontano.

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Giardini e Padiglioni esterni, i contribuiti Nazionali (qui solo quelli che ho preferito):

Australia: Un futuro poco roseo è sicuramente quello espresso dall’artista Fiona Hall. Nella sua installazione Wrong Way Time vari elementi girano intorno a tre realtà: politica, finanza e ambientale, che sono dei veri e propri fallimenti globali e non andranno di sicuro a migliorare con il tempo. Il suo messaggio è il seguente: “il pianeta terra stà andando dritto verso la sua rovina, spinto ed incalzato dai mostri apocalittici di ignoranza, avidità ed interessi personali”. Il padiglione è cupo e pieno di cucù e pendoli con scritte e disegni macabri, oggetti in disuso, soldi pervasi da piante, come se la natura fosse l’unico spiraglio di speranza in questo quadro sconsolante.

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Cina: Vicino al giardino delle Vergini, nell’Arsenale, il padiglione della Repubblica Popolare cinese presenta dei video in cui divinità tipiche della loro tradizione, un misto tra Buddismo e tutte le varie figure derivanti dall’Induismo sono interpretate da giovani attori, che hanno un fare di imposizione e forza. Questo perchè l’ordine non deve essere determinato dai “pochi eletti”, ma dalla massa. La gente, il popolo, ha il potere di smuovere gli eventi, crea direzione, ordine ed ogni individuo può avere un impatto determinante sul futuro del mondo.

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Egitto: Contrariamente alla sua situzione socio-politica, l’Egitto ha una visione positiva del futuro. La pace è l’obiettivo finale di ogni essere umano ed è la condizione necessaria per costruire e svilupparsi. Nel padiglione piccoli giardinetti con dei tablet, che permettono l’interazione del pubblico per la popolazione di questi piccoli paradisi. Ma come ogni atto di Creazione si può scegliere tra ordine o disordine, costruzione o distruzione; i poli opposti si avvicinano e non sempre la pace viene raggiunta.

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Repubblica di Indonesia: il tema è il viaggio, il moto che ha regolato la storia del genere umano e si presenta come un essere gigante a forma di nave. Unione del mito indonesiano del Drago di Komodo e del cavallo di Troia è una riflessione sulla relazione tra globalizzazione e culture locali e sulla nostra condizione di membri di un’umanità in balia del futuro.

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Giappone: molto suggestiva l’intallazione di Chiharu Shiota, The key in the Hand. Un enorme network di fili rossi si dirama dal soffitto e all’estremità ci sono delle chiavi, che sono il simbolo della nostra casa e delle cose a cui teniamo, il contenitore dei nostri ricordi, che consegnamo a persone a noi care in modo che si prendano cura di quello che per noi è importante. Le chiavi sono il veicolo per l’espessione dei sentimenti e le due barche nella sala rappresentano mani pronte a catturare una pioggia di ricordi che piovono dal soffitto.

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Granducato di Lussemburgo: l’instalazione di quest’anno intitolata ironicamente Paradiso Lussemburghese è un documentario di inchiesta sulle realtà sociali e politiche del paese, culla di tradizioni, ma anche di immigrazione e snodo della finanza mondiale.

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Polonia: divertente l’impresa ambiziosa dei due artisti Polacchi che, come Fitzcarraldo di Werner, che voleva costruire un teatro di opera lirica ai tropici, mettono in scena Halka, l’opera Nazionale polacca, nelle montagne di Haiti. ps: la capra rimane comunque lo spettatore più interessato.

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Ungheria: Sustainable Identities è un progetto che ironicamente riflette sulle nozioni chiave del nostro mondo, oggi ridotto a slogan invitanti. L’installazione provoca il visitatore sulla questione che ciascuno di noi sceglie di mettere in luce quando si tratta di identità e se questa possa essere “sostenibile”. All’interno del padiglione tubi e palline fluttuanti, che stanno ad indicare le nostre vite che sono guidate e predette dal fato, che si intersecano con un effetto immaterialmente caotico. Miriadi di fattori determinano il successo o il fallimento di ogni tentativo di immigrazione, dalle persone incontrate lungo il cammino alle opportunità offerte o mancate.

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Francia: dei pini marittimi, con il loro blocco di terra e radici, si muovono all’interno e all’esterno del padiglione, emettendo un suono impercettibile che deriva dal fruscio dei rami. La natura si unisce al macchinario e in questa installazione di Celeste Boursier-Mougenot, un’oasi organica si muove lentamente di fronte ad un pubblico che la guarda rilassato.

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Singoli artisti presentati all’Arsenale:

Incredibili i lavori del cinese Qiu Zhijie, meraviglie grafiche che si combinano con installazioni dal vivo. Le sue opere si dividono in due rami, uno che si basa sulla storia, la filosofia e i concetti alla base della tradizione del suo paese e l’altro che si focalizza su antropologia e sociologia. La sua produzione artistica e culturale combina osservazione, azione, installazione, arte dal vivo, scrittura e pratica curatoriale. Presenta all’Arsenale un’installazione chiamata Historical Circular che stà a significare che tutta la storia è ciclica e prima o poi gli eventi si ripeteranno. Su di una mappa disegnata, vari elementi si trovano sul cammino, gli stessi sono riprodotti poi dal vivo in dimensione reale. Sono strani macchinari ed oggetti che simbolizzano situazioni ed emozioni e anche se si basano su aspetti del reale fanno volare la fantasia.

qui

Qui una sua intervista (non si è capito che è l’artista mi è piaciuto vero?):


i neon di Bruce Nauman sono giocosi e inquietanti allo stesso tempo, le parole di cui sono composti, che descrivono gli eventi fondamentali della vita di ognuno di noi, si accendono ad intermittenza e suscitano stati d’animo diversi tra loro.

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Comprato e portato a fatica per tutto il giorno (se riflettevo su peso, ingombro e tragitto non so se l’avrei preso) il mattone di Rirkrit Tiravanija, un giovane artista Cinese la cui performance consiste nella produzione di 14.086 mattoni, che sono la base minima necessaria per costruire una casa per una piccola famiglia in Cina, che recano impressa la scritta in ideogrammi “Non lavorate mai”. La produzione è live e il ricavato andrà a finanziare una società non profit italiana, che sostiene organizzazioni cinesi per i diritti dei lavoratori. Ma sì dai, mi son spaccata la schiena a fin di bene.

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Interessante il lavoro di Taryn Simpson, una fotografa Americana che si è studiata distribuzione e fioriture di miriadi di fiori, creando poi delle composizioni di fiori secchi “impossibili” (cioè tra fiori che non appartengono alla stessa area geografica, periodo di fioritura e fascia climatica) per poi titolarle come le varie cerimonie ufficiali degli ultimi anni, dove leader mondiali (a cui è associato un fiore a testa) hanno partecipato.

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Barthelèmy Toguo, di origine Camerunense, non è un artista arroccato sulla sua torre d’avorio, la sua opera riflette l’interesse per lo sviluppo del suo paese, del suo continente e del mondo in generale. Riesaminando i disordini che agitano il mondo attraverso la propria immaginazione crea opere che parlano all’umanità. Qui l’installazione Urban Requiem rende omaggio a coloro che incontrano e subiscono ingiustizie, prendendo frasi e parole capaci di creare sentimenti e immerge le persone in questi “set di conflitti internazionali”.

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Un lavoraccio incredibile quello di Ibrahim Mahama, un giovane artista ganese di 28 anni, che ha utilizzato il sacco di juta, esempio estremo di arte pubblica africana, simbolo della sua economia fragile, per addobbare tutto il passaggio dell’Arsenale. Timbrato, lacerato, rattoppato, diventa per Mahama amplificatore di storie e metafora d’ineguaglianza sociale. A cucire quei sacchi nel suo studio, decine di donne, migranti senza identità, che vivono sulla loro pelle una vita drammatica non dissimile dalle condizioni subite dall’oggetto.

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E per finire un evento collaterale fantastico di Sound Painting nato dalla collaborazione tra l’artista Beezy Bailey e Brian Eno (che da anni apprezzo e ascolto, considerato uno dei più importanti autori moderni è l’inventore della Musica Ambientale). The Sound of creation intende riflettere sul senso del vedere e dell’ascoltare; la musica è comunemente associata la spiritualità mentre l’arte alla corporeità, espressa nella plasticità dell’atto pittorico e scultoreo. Si ascolta la musica non solo con le orecchie, così come si guardano le immagini non solo con gli occhi. Agli artisti il compito di rendere visibile la musica e donare sonorità all’immagine.

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Grazie Venezia, con un palco come il tuo qualsiasi opera sembra 10 volte più bella.

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One Comment

  1. Vorrei che tu la publicassi su facebook, perché tante persone amiche, che non hanno potuto andare alla Biennale, la possano “vedere” attraverso le tue parole oltre che guardando le immagini.

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Alice Tebaldi

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