Biennale di Venezia 2024 – 60a edizione
BIENNALE d’arte di VENEZIA 2024 Foreigns Everywhere
Quest’anno ho vissuto la Biennale di Venezia in un modo tutto nuovo, in compagnia delle mie piccole Gaia ed Emma, insieme a mamma Caroline, la mia compagna di Biennali da sempre, e a due altri accompagnatori speciali: Fabio e Linda. È stato sorprendente vedere quanto le mie bambine di 4 e 6 anni si siano divertite esplorando le installazioni e visitando i numerosi Padiglioni, ben 29 ai Giardini e 1.800 mq espositivi all’Arsenale. Non ho mai perso un’edizione della Biennale e scoprire che questa passione coinvolge anche le nuove generazioni della mia famiglia è stato un momento di grande gioia.
“Stranieri Ovunque”: La Tematica della 60ª Esposizione Internazionale d’Arte
Il tema di quest’anno, Stranieri Ovunque, è ispirato a una serie di opere del collettivo Claire Fontaine, realizzate dal 2004, in cui sculture al neon di vari colori riportano la stessa frase in diverse lingue. Questo messaggio, ripreso negli anni successivi da numerosi artisti come critica contro il razzismo e la xenofobia in Italia, riflette un mondo caratterizzato da confini e identità nazionali che spesso creano disparità basate su lingua, tradizioni, razza e genere. La parola “straniero” è etimologicamente legata a “strano”, suggerendo qualcosa di diverso e sconosciuto. L’espressione “stranieri ovunque” implica non solo che si incontrano sempre “stranieri” ovunque si vada, ma anche che ciascuno di noi è uno “straniero” per qualcun altro.
Questo tema è particolarmente significativo a Venezia, una città storicamente abitata da profughi provenienti da vari centri urbani dell’Impero Romano, che è diventata un importante centro di scambio commerciale nel Mediterraneo e la capitale della Repubblica di Venezia. Qui, gli stranieri sono una presenza costante, riflettendo la stessa natura cosmopolita della città. Allo stesso modo, molti degli artisti presenti in questa Biennale sono stati scelti per il loro status di outsider, spesso isolati o provenienti da culture indigene, che occupano posizioni marginali nel mondo dell’arte contemporanea.
Il Nostro Primo Giorno ai Giardini di Venezia
Come da tradizione, abbiamo dedicato il primo giorno alla visita dei Padiglioni dei Giardini, che ospitano alcune delle opere più significative dell’esposizione. Ecco alcuni dei nostri preferiti…
1. Spagna
Il Padiglione Spagna, con l’installazione Pinacoteca Migrante dell’artista Sandra Gamarra Heshiki, sovverte il concetto occidentale di museo, mettendo in luce storie e narrazioni spesso trascurate, in particolare quelle dei migranti, sia umani che vegetali, costretti a viaggiare tra continenti.
L’installazione si articola in cinque sale, ognuna dedicata a generi pittorici classici come il paesaggio, la natura morta, l’illustrazione scientifica e la ritrattistica. Questi generi, solitamente percepiti come neutrali, vengono reinterpretati per mostrare come abbiano servito a costruire narrative politiche che legittimavano la colonizzazione e la supremazia culturale occidentale. L’opera evidenzia le conseguenze devastanti della gestione irresponsabile delle risorse naturali, contrapposte alle pratiche sostenibili degli indigeni.
Un elemento centrale dell’installazione è il “Giardino Migrante”, uno spazio dove i visitatori possono camminare tra figure in plexiglass e ammirare coppie di monumenti dipinti che, pur non essendo in Spagna, fanno parte del patrimonio delle ex colonie spagnole. Questo giardino offre una “contro-narrazione” che racconta le storie di chi ha fatto di queste terre la propria casa, mettendo in risalto la ricchezza culturale portata dalle migrazioni.
La divisione delle stanze per tematiche rende la visita coinvolgente, offrendo un percorso che stimola la riflessione su immigrazione, storia e identità. L’accuratezza della ricerca storica dell’artista si riflette nella profondità delle tematiche trattate, rendendo il Padiglione Spagna un’esperienza educativa e toccante.
2. Belgio
Il Padiglione Belgio presenta un’installazione innovativa del collettivo artistico composto da Denicolai & Provoost, Antoinette Jattiot, Nord, e Spec uloos. Questo gruppo di artisti unisce arte, architettura, tipografia e cartografia, creando un’esposizione che sfida i formati tradizionali attraverso una narrazione in capitoli.
L’opera principale, intitolata Petit Coat Government riunisce sette giganti folcloristici provenienti da diverse comunità dei Paesi Baschi, del Belgio, della Francia e della Spagna. Questi giganti sono posti sopra un grande meccanismo di stampa, simbolizzando il potere delle comunità di origine e il loro patrimonio culturale. Il meccanismo di stampa, una volta in funzione, produce gazzettini rosa fucsia che diffondono le storie e i saperi di queste comunità, promuovendo l’empowerment e il senso di appartenenza.
Il manifesto dell’installazione racconta che questi giganti hanno partecipato a un festoso picnic sul lago di Resia, ballato nella stamperia della Gazzetta di Padova, e ora resteranno per sette mesi e sette giorni alla Biennale, prima di proseguire il loro viaggio. Questo progetto artistico riflette sul tema del superamento dei confini fisici e simbolici e mette in discussione le dinamiche delle organizzazioni artistiche collettive, incoraggiando una riflessione su come queste strutture possano essere ripensate in un contesto contemporaneo.
3. Paesi Bassi
Il Padiglione dei Paesi Bassi presenta le opere del Cercle d’Art des Travailleurs de Plantation Congolaise, un gruppo di artisti congolesi che lavorano a Lusanga, nella Repubblica Democratica del Congo. Questo collettivo opera all’interno di una piantagione di proprietà della multinazionale Unilever, accusata di sfruttare le risorse naturali e umane del Congo, contribuendo alla povertà e alla distruzione della biodiversità locale.
Per la Biennale, il gruppo ha creato nuove opere utilizzando materiali come argilla, olio di palma e cacao, che sono anche i principali prodotti coltivati nelle piantagioni. Le loro sculture raffigurano lavoratori, animali e piantagioni di cacao, simbolizzando il legame tra passato e presente e la complessa relazione tra sfruttamento e cultura.
L’obiettivo di questa esposizione è immaginare un futuro in cui le ingiustizie vengono trasformate in soluzioni. Gli artisti sperano che il loro lavoro e i prodotti delle loro piantagioni possano contribuire a riscattare le terre confiscate, promuovendo una coesistenza pacifica tra uomo e natura. Questa visione suggerisce un mondo in cui le pratiche sostenibili e il rispetto per l’ambiente portano a una società più giusta ed equilibrata.
4. Italia
Come ogni biennale il Padiglione Italia ospita artisti provenienti da tutto il mondo mentre la vera e propria installazione italiana si ritrova nel padiglione dell’arsenale. Qui nel padiglione centrale dei giardini, esteriormente abbellito con disegni colorati e multiformi, ritroviamo alcuni di questi artisti.
Nil Yalter
immersa fin dalla giovinezza in un contesto di attivismo e femminismo, è celebrata a livello globale. Nel Nucleo Contemporaneo sono esposte due delle sue opere iconiche sul tema della migrazione: Topak Ev, che fa riferimento alle tende della comunità nomade Bektik dell’Anatolia centrale, e Exile is a Hard Job, ispirata al poeta turco Nâzım Hikmet, con video e poster che documentano le vite degli immigrati ed esiliati. Quest’anno Yalter è stata premiata con il Leone d’Oro alla carriera, ed è la sua prima volta alla Biennale Arte.
Ione Saldanha
famosa per il suo uso energico e caratteristico del colore, presenta i suoi Bambus degli anni Sessanta, un’opera che forza i confini tra linguaggi artistici. Attraverso un lungo processo di preparazione e colorazione del bambù, queste opere ci invitano a sperimentare il colore in modo dinamico e giocosamente interattivo. I Bambus, appesi al soffitto e in movimento, combinano scultura e pittura in una fusione organica.
Pablo Delano
è un artista visivo e fotografo che esplora la vita e le lotte della comunità latino-americana e caraibica negli Stati Uniti. Trasferitosi negli USA, ha iniziato a lavorare con la fotografia influenzato dal padre. Le sue intricate installazioni approfondiscono il colonialismo statunitense nella sua terra d’origine, sfidando le narrazioni ufficiali e rivelando sintomi di razzismo e oppressione.
Victor Fotso Nyie
artista contemporaneo specializzato in sculture figurative, fonde la tradizione africana con elementi di fantascienza. Le sue figure in argilla, sottoposte a processi di cottura complessi, incorporano elementi biografici e culturali panafricani, creando opere che oscillano tra sogno e inquietudine. Le sue sculture riflettono il senso di sradicamento vissuto dagli artisti in Europa.
Nedda Guidi
si dedica all’alchimia nella sua arte, presentando sculture sottili come carta che evocano volumi curvi e corporei. Orientata verso la modularità e allontanandosi dagli smalti tradizionali, Guidi esplora la combinazione di ossi naturali con l’argilla per riscoprire un’innocenza perduta e l’originalità della materia.
5. Finlandia
Il Padiglione Finlandia presenta The Pleasures We Choose, una mostra che riunisce le artiste Pia Lindman, Vidha Saumya, e Jenni-Juulia Wallinheimo-Heimonen. Le opere delle artiste riflettono le loro esperienze personali e affrontano questioni legate agli squilibri ambientali e sociali. La mostra introduce un concetto di architettura dell’accesso, che mira a rendere l’arte accessibile a tutti, prendendo in considerazione le diverse esigenze fisiche e sensoriali dei visitatori.
Le artiste utilizzano una varietà di materiali e tecniche, tra cui il ricamo, per creare opere multisensoriali. Una delle installazioni più intriganti è una scultura che ricorda un formichiere gigante, all’interno della quale i visitatori possono urlare e ascoltare, un’esperienza unica e coinvolgente.
6. Ungheria
Màrton Nemes, rappresentante del Padiglione Ungheria, trae ispirazione dalla sottocultura techno per le sue opere. I suoi dipinti e installazioni, caratterizzati da esplosioni di colori e elementi astratti, evocano l’atmosfera psichedelica delle luci delle discoteche. Nemes combina elementi pittorici e scultorei per creare un’esperienza visiva ipnotica, che trasporta lo spettatore da una realtà dura a un mondo di colori vibranti e fluorescenti.
Il progetto Tecno Zen si presenta come un ambiente immersivo che riflette sulle polarizzazioni sociali contemporanee, suggerendo la necessità di trovare equilibrio e serenità in un mondo frenetico. Le sue opere invitano il pubblico a liberarsi da situazioni opprimenti attraverso espressioni visive, trasformando le vibrazioni della musica techno in un’esperienza di calma e introspezione zen.
7. Brasile
Il Padiglione Brasile presenta Ka’a Pûera, un’installazione che esplora la dualità del termine, che significa sia “campo di coltivazione” che “uccello mimetizzato nella natura”. Questa dualità è essenziale per comprendere il concetto di Hãhãwpuá (ampio territorio ancestrale), un tema che unisce la cultura indigena alla lotta per la resistenza in Brasile. Le opere di Glicéria Tupinambá, Olinda Tupinambá, Ziel Karapotó e della comunità Tupinambá di Serra do Padeiro e Olivença a Bahia, raccontano storie di resistenza e identità.
L’installazione include una combinazione di proiettili e maracas, simbolizzando la tensione tra violenza e cultura indigena. Rappresenta la resistenza dei popoli indigeni brasiliani, che come i Ka’a Pûera, continuano a lottare per la loro terra e le loro tradizioni, camminando attraverso le foreste che risorgono.
8. Austria
L’Austria è rappresentata dall’artista concettuale Anna Jermolaewa, che esplora temi di convivenza umana, condizioni sociali e politiche attraverso la lente della sua esperienza personale dell’infanzia in Unione Sovietica e poi come rifugiata politica. Il lavoro di Jermolaewa collega i ricordi individuali a quelli collettivi, spesso riflettendo sulla recente invasione Ucraina da parte della Russia.
Rehearsal for One Lake è una nuova opera creata in collaborazione con la coreografa ucraina Osakana Serheieva. Questa performance rielabora il balletto classico, tradizionalmente un simbolo di potere e censura nella cultura sovietica, trasformandolo in una forma di protesta politica. I ballerini, attraverso le loro esibizioni, suggeriscono metaforicamente un futuro di resistenza e cambio di potere.
9. Serbia
l Padiglione Serbia, con l’opera Exposition Coloniale di Aleksandar Denić, affronta le ramificazioni del colonialismo e la perpetuazione della sottomissione culturale e politica. La mostra è situata in un edificio che porta ancora la scritta “Jugoslavia”, evocando il passato di un paese ormai dissolto dopo i conflitti degli anni ’90. Il padiglione, con la sua architettura grandiosa e sofisticata, tipica dell’Italia del Novecento, diventa un monumento vivente a un’identità frammentata e perduta.
Denić utilizza questa cornice storica per invitare i visitatori a riflettere sulla complessa eredità del colonialismo. All’interno, l’artista crea spazi che ricordano ambienti come camere d’albergo, taverne, saune, bagni pubblici e cabine telefoniche di trent’anni fa. Questi spazi, carichi di significati, fungono da “cimeli sociali”, fantastico il vecchio Juke Box e i mitici cioccolatini al gusto di banana Bananica.
10. Egitto
Wael Shawky, rappresentante del Padiglione Egitto, esplora temi di identità nazionale e religiosa attraverso vari media, tra cui cinema, scultura, performance e disegno. La sua opera si radica in un profondo rapporto con la storia e il patrimonio culturale arabo, offrendo una reinterpretazione critica di eventi storici. Drama 1882 è un’installazione che riflette sulla rivolta del 1882 in Egitto contro il dominio imperiale britannico.
Ambientato in un teatro leggendario di Alessandria, con un set che ricorda il dadaismo, questo musical epico in otto atti utilizza attori per raccontare gli eventi drammatici che portarono alla storica battaglia di quell’estate. Shawky utilizza questa narrazione per spingere una riflessione critica sul revisionismo storico e sull’inutilità della guerra, offrendo una nuova prospettiva su un periodo cruciale della storia egiziana.
11. Padiglione Venezia
Il Padiglione Venezia propone un’esplorazione non geografica, linguistica o sociale, ma affettiva e sentimentale, della ricerca di sé e della propria completezza emotiva. La mostra si concentra sulla sensazione di sentirsi a casa, un concetto che va oltre il luogo fisico e abbraccia gli spazi dove ci sentiamo liberi di essere noi stessi. Sestante Domestico è un’installazione che funge da strumento di ricerca attraverso mappe di cielo, terra, storia, natura e amore. L’opera suggerisce che, con l’amore, si possa trasformare qualsiasi luogo in una casa, ovunque essa sia.
12. Grecia
L’installazione Xiròmero/Dryland rappresenta un’opera ibrida creata da un collettivo di artisti greci. Questa installazione utilizza l’acqua come tema centrale per esplorare il potenziale politico del suono e della musica, oltre all’impatto della tecnologia sui paesaggi rurali e sulla diversità culturale. Gli artisti seguono i movimenti di una fiera di provincia, osservando come le piazze, i villaggi e il territorio circostante ne vengano influenzati. Le feste popolari locali, attraverso rituali e intrattenimenti, trasmettono informazioni sulle attività agricole, scandiscono il tempo e creano una temporalità interna alla comunità durante la semina, l’irrigazione e la raccolta. L’opera mette in relazione le esperienze e i costumi locali con la condizione globale, evidenziando come le direttive estetiche e le tradizioni cambino, e come la vita rurale e le celebrazioni assumano nuove forme, mantenendo aperto il tema delle dimensioni politiche di questi processi.
13. Australia
Archie Moore, rappresentante del Padiglione Australia, presenta kith and kin, un’opera che rende omaggio e rappresenta un monito alla realtà dei popoli delle Prime Nazioni dell’Australia, tra le culture viventi più antiche del mondo. L’opera è un enorme albero genealogico che si sviluppa sulle pareti interne del padiglione, tracciando la storia personale dell’artista, dai parenti stretti a quelli lontani, affrontando anche espressioni generiche e razziste. Questo albero genealogico abbraccia oltre 65.000 anni di storia e interconnessioni. Al centro del padiglione, una vasca contemplativa occupa lo spazio, circondata da un vuoto nero di inchiostro e funge da memoriale per le centinaia di persone delle Prime Nazioni australiane morte durante la detenzione da parte dello Stato. Questa installazione non solo celebra la lunga storia dei primi nativi Australiani, ma riflette anche sulla loro continua lotta e resilienza.
14. Israele
Purtroppo, non siamo riusciti a visitare il Padiglione Israele, che era sorvegliato da due guardie israeliane. Un manifesto affisso su una finestra dichiarava che il padiglione rimarrà chiuso fino a quando l’attuale conflitto non si fermerà. Questa decisione riflette la situazione critica e le tensioni in corso, sottolineando l’impatto del conflitto sulla partecipazione culturale e artistica.
15. Stati Uniti D’America
Il Padiglione degli Stati Uniti, con l’installazione The Space in Which to Place Me, si trasforma in un mondo vibrante e colorato che trasmette una visione profondamente inclusiva per il futuro. Questo spazio pone l’arte indigena e una vasta gamma di espressioni e identità culturali al centro dell’esperienza umana. Jeffrey Gibson, artista interdisciplinare, utilizza un linguaggio visivo ibrido che attinge alla storia americana, indigena e queer, con riferimenti alle subculture popolari, alla letteratura e alle tradizioni artistiche globali. Gibson dimostra come il gusto, il concetto di autenticità e gli stereotipi persistenti vengano utilizzati per delegittimare le espressioni culturali fuori dalla cultura dominante. L’uso di tessuti, perline, e texture geometriche e astratte richiama le tradizioni indigene, creando un’esperienza visiva ricca e coinvolgente.
16. Paesi Nordici
The Altersea Opera è un’installazione audiovisiva che esplora le implicazioni esistenziali dello sradicamento e dell’appartenenza attraverso un’epica ricerca in mare. In un vasto oceano sotto un cielo grigio, una creatura acquatica e terrestre prega la dea del mare Ma-Zhou e accidentalmente evoca una nave drago che la conduce in un viaggio oltre il tempo e lo spazio. Ideata dall’artista Lap-See Lam, in collaborazione con il compositore sperimentale Tze Yeung Ho e l’artista tessile Kholod Hawash, questa opera rivendica e al contempo complessifica la nozione di patrimonio culturale. L’installazione combina narrazione, musica e arte tessile per creare un’esperienza immersiva che invita il pubblico a riflettere sulla propria identità e appartenenza in un mondo in continuo cambiamento.
17. Repubblica Ceca
La mostra The Heart of Agra Effe ripercorre la storia della giraffa Lenka, catturata in Kenya nel 1954 e portata allo zoo di Praga, dove visse solo due anni prima di morire in cattività. Dopo la sua morte, il corpo di Lenka fu donato al museo nazionale, dove rimase esposto fino al 2000, quando le sue interiora furono smaltite nel sistema fognario pubblico e solo la pelle fu conservata. Questo progetto collaborativo immagina la storia di Lenka come un incontro poetico e corporeo tra il pubblico, gli artisti e le istituzioni, ponendo una critica alle pratiche violente e gerarchiche con cui trattiamo gli animali. L’installazione propone diverse modalità di coinvolgimento, dove la cura, l’immaginazione e l’emozione sono tanto importanti quanto la narrazione storica. Comprende vari modelli delle parti del corpo della giraffa e grandi tubi che permettono ai visitatori di esplorare l’interno del corpo di Lenka. Questo spazio invita a riflettere sulla nostra relazione con il mondo naturale, mettendo in discussione le concezioni prestabilite di identità, confini e nazioni.
18. Francia
Il Padiglione Francia, con l’installazione poetica Attila cataratta la tua Sorgente/ ai piedi delle verdi vette/ Finirà il grande abisso blu del mare/ Ci annegheremo nelle lacrime della luna, immerge i visitatori in un mondo onirico fatto di elementi leggeri, volanti e colorati. Le parole evocative e i suoni presenti creano un’atmosfera immersiva, descritta come una poesia di forme, suoni, volumi, linee e movimento. Questo ambiente invita il pubblico a vivere un’esperienza sensoriale completa, dove l’apprendimento diventa un processo di riconciliazione con i propri sensi. L’installazione si sviluppa ricordando le fitte foreste della Martinica e la tarantola matoutou falaise che si trova, visibile sulla corteccia degli alberi della pioggia o sulle rocce costiere. Scorgere questa creatura richiede un profondo legame con l’ambiente circostante, uno sguardo capace di seguire i contorni e scivolare sulle trame. Con questo l’artista crea nuovi linguaggi attraverso incontri colorati, promuovendo un momento di scoperta e di immersione totale nel mondo della poesia visiva.
19. Gran Bretagna
Il padiglione della Gran Bretagna ci ha particolarmente colpito, riassumibile con la frase: Io ho un’acqua che dorme al fondo di ogni memoria. John Akomfrah, artista e cineasta, esplora temi come la memoria, l’ingiustizia razziale, l’esperienza delle diaspore e il cambiamento climatico. La sua installazione, intitolata Listening All Night to the Rain, trasforma l’architettura dell’edificio per sovvertire e interrogare le reliquie e i monumenti della storia coloniale. Il lavoro riflette il suo interesse per il post-colonialismo, l’ecologia e la politica dell’estetica, ponendo l’accento sull’ascolto come forma di attivismo.
Akomfrah utilizza l’acqua come tema centrale, creando un tessuto connettivo di narrazioni visive e sonore. Attraverso rappresentazioni di nebbia, foschia, acqua ferma e corrente, ruscelli, fiumi e pioggia, l’acqua diventa un simbolo onnipresente. La mostra esplora narrazioni storiche non lineari e il collage, riflettendo su come queste storie si connettano e influenzino l’esperienza delle persone in Gran Bretagna.
20. Canada
Kapwani Kiwanga, artista multidisciplinare, esamina le diverse forme di potere e come le storie nascoste influenzano la vita quotidiana. Il padiglione del Canada, sotto il suo intervento, diventa un’esperienza trasformativa sia all’interno che all’esterno dell’edificio. L’installazione utilizza principalmente perle di vetro, storicamente usate come oggetti di scambio, per decorare e trasfigurare lo spazio.
Queste perle rappresentano testimonianze di transizioni passate che hanno alterato profondamente il paesaggio socio-economico. Muovendosi attraverso l’architettura a spirale del padiglione, i visitatori possono osservare prospettive multiple, con le perle di vetro che evocano la memoria storica e il cambiamento.
21. Germania
l padiglione della Germania presenta una visione fantascientifica del presente, con un’installazione di Tear Sales che rappresenta il presente come un luogo transitorio e instabile. Per le persone le cui vite sono caratterizzate dalla migrazione, il presente è percepito come una soglia tra passato e futuro, con una forte componente spaziale e fisica che riflette le loro molteplici appartenenze.
Il contributo tedesco esplora questa complessa relazione tra storia e futuro attraverso tre scenari distinti: Un presente catastrofico, oscuro e opprimente, che rappresenta il senso di precarietà e incertezza che caratterizza il nostro tempo, un cosmo teatrale di narrazione frammentaria che utilizza performance e architettura per aprire finestre sui decenni passati e un ponte verso un altro luogo al di fuori dei giardini della Biennale.
Le opere contrastano con la monumentalità del padiglione tedesco, accentuando l’idea di passaggio e soglia. Questo approccio mette in risalto l’importanza di comprendere il presente non solo come un momento isolato, ma come un punto di intersezione tra molteplici temporalità e spazi.
22. Giappone
Il padiglione del Giappone alla Biennale esplora la fragilità e l’interconnessione della vita attraverso le installazioni di Mohri, che utilizzano suoni, luci, movimenti e odori per creare un’esperienza immersiva e multisensoriale. Ispirata dalla frase Sunday we Will evaporate Together, la mostra presenta due ecosistemi: uno basato su perdite d’acqua artificiali riparate con oggetti domestici, e l’altro su suoni e luci generati dall’umidità dei frutti, che col tempo appassiscono emanando l’odore del decadimento. Queste opere riflettono il ciclo della vita e l’importanza della creatività umana di fronte alle sfide globali, suggerendo che anche i piccoli gesti possono portare a soluzioni innovative.
23. Russia – Bolivia
I rapporti tra Russia e Bolivia sono storicamente amichevoli, con numerosi progetti commerciali e industriali alle spalle, per questo il Padiglione della Russia, chiuso nella precedente biennale, quest’anno lascia spazio agli artisti Boliviani.
L’esposizione, intitolata Qhip Nayra Uñtasis Sarnaqapxañani è un’espressione dei popoli Aymara: Guardando al futuro passato, camminiamo in avanti.
L’idea è quella di esplorare l’origine comune con gli altri paesi latinoamericani e i desideri condivisi attraverso l’arte, mettendo in risalto il concetto di Stato plurinazionale e i suoi valori fondamentali. Il titolo della mostra riflette una visione sagace del tempo, in cui passato e futuro sono interconnessi e si arricchiscono a vicenda. La filosofia alla base dell’esposizione sottolinea che le chiavi per un futuro emancipato e libero si trovano nelle lezioni della storia e nella memoria tramandata attraverso le generazioni, invitando a mantenere uno sguardo sul passato mentre si avanza verso il futuro. L’idea è quella della circolarità e dell’armonia dell’esistenza, in cui tutti gli elementi sono collegati.
Chiudiamo la visita di oggi con l’nstallazione site specific di Sol Caleiro, che al centro dei Giardini della biennale, seguendo il concetto di padiglione nazionale, ha allegramente reinventato e proposto il suo, formato da un caleidoscopio di forme e colori, con pareti dipinte e disegni geometrici, tetti a spiovente, colonne e terrazze e curvilinee.
Questa opera indaga sulla rappresentazione dell’identità attraverso ambienti immersivi e ricchi di motivi e tessuti colorati. Nonostante viva in Europa, Calero ha trascorso la sua infanzia in Venezuela, e questo background influisce profondamente sul suo lavoro. Difatti l’artista è particolarmente interessata a esplorare e analizzare le sfaccettature della cultura e dell’identità latino-americana.
Di fronte a Sol Caleiro l’installazione di Verdy per Swatch. Originario del Giappone, Verdy è riconosciuto per la sua distintiva opera grafica nella scena di strada di Tokyo. Questa forza creativa mostra la sua versatilità con Vick Bronze, una rappresentazione color bronzo alta 4 metri del suo iconico personaggio panda-coniglio Vick. Un orologio Art Special di Swatch ricrea quest’opera d’arte da portare sempre con sé al polso.
Qui invece altre opere che abbiamo incrociato a Venezia
Manolo Valdés – Las Meninas a San Marco
Manolo Valdés – Mariposas
ARSENALE
Il giorno seguente è stato dedicato interamente agli spazi dell’Arsenale. Rispetto alla scorsa edizione, dove le opere erano organizzate tematicamente, quest’anno la disposizione delle installazioni libere ha creato una certa confusione. La mancanza di una chiara coerenza tematica ha reso più difficile cogliere il filo conduttore dell’esposizione. Nonostante ciò, alcune opere sono riuscite ad emergere. Qui alcune immagini di quelle che ci hanno maggiormente colpito:
Dana Awartani, artista palestinese-saudita, presenta Come, let me heal your wounds. Let me mend your broken bones, un requiem dedicato ai siti storici e culturali distrutti nel mondo arabo a causa di guerre e terrorismo. L’installazione, costituita da tele arancio, espande la documentazione di ogni interazione. Awartani crea buchi su metri di seta, segnando ogni sito con uno strappo, che poi rammenta con tenerezza come gesto di guarigione.
Brett Graham, con la sua scultura Wasteland, evoca nozioni di mobilità e separazione dalla patria. La struttura architettonica, realizzata su pali e ispirata al pataka tradizionale dei Maori usato come deposito di cibo, è ricoperta di anguille, simbolo di riverenza verso il mondo naturale del suo popolo.
Fred Graham presenta Whiti Te Ra, una scultura in legno dalle forme semplificate e fluide, che riprende gli intagli tradizionali Maori. L’opera riflette sui concetti mitologici e sull’interazione con il mondo naturale, dando creativamente forma ai segni fluidi del pastello.
Altrato progettato da Daniel Otero Torres per raccogliere l’acqua piovana e agli abitanti acqua non inquinata paradossalmente pur abitando in una delle regioni più ricche di precipitazione gli impera devono affrontare gravi difficoltà per ottenere l’acqua pulita a causa delle esteso inquinamento provocato dall’estrazione legale dell’oro. Struttura aperta agli occhi del mondo questo lavoro rivela il viaggio dell’acqua che scorre i suoi molteplici significati.
Greta Schödl presenta una serie di opere con scritte su marmo, Granito rosso Serra Chica e marmo basso calcareo. La scrittura, ripetuta a mano su queste pietre scelte per la loro qualità tattile, ricopre le superfici curve e piane degli oggetti, distinguendone la composizione materiale e dando forma alle sue parole in modo distintivo.
Ahmed Umar, artista sudanese che vive in Norvegia, esplora le storie queer di migrazione musulmana con Talitin, The Third (2023). Quest’opera mette in scena una danza nuziale sudanese, con Umar che interpreta la sposa, esibendo la propria bellezza e ricchezza. “Talitin” significa “terzo” in arabo e fa riferimento a un insulto locale rivolto ai ragazzi interessati ad attività femminili. Umar si riappropria delle pratiche femminili della sua famiglia, creando una performance che include abiti, tessuti e trecce, celebrando la sua nuova floridezza attraverso canzoni che elogiano la famiglia della sposa.
Bordadoras De Isla Negra era un gruppo di donne autodidatte che ricamavano tessuti in lana per raccontare la vita quotidiana del villaggio costiero cileno di Isla Negra tra il 1967 e il 1980. I loro ricami, caratterizzati da prospettive poliedriche e colori vivaci, includono personaggi reali come Pablo Neruda a caccia di farfalle, riflettendo una forza espressiva e una libertà nel contesto di un lavoro artigianale locale.
WangShui presenta un’installazione con LED colorati, esplorando l’interpolazione transnazionale della forma e sfumando il confine tra mente e macchina. La scultura video multicanale, assemblata con schermi LED intrecciati, disorienta e attira gli spettatori, avvertendo che la coscienza si forma negli spazi latenti.
Rember Yahuarcani, con tracce delicate e colori vivaci, invita a immergersi nel pensiero e nella vita quotidiana degli U Toto, mostrando animali, piante, spiriti e esseri umani della foresta amazzonica interconnessi.
Il Mataaho Collective, attivo da un decennio, presenta Takapau, un’installazione in fibra che esplora la vita e i sistemi di sapere māori. Il takapau è una stuoia tessuta usata nelle cerimonie, in particolare durante il parto, segnando la transizione tra luce e buio. L’installazione incorpora materiali selezionati che sottolineano l’interdipendenza e celebrano un patrimonio spesso ignorato.
Evan Ifekoya, con The Central Sun, crea un’installazione sonora immersiva che comprime il movimento di un’intera giornata in un’ora, promuovendo la trasformazione a livello cellulare tramite un coinvolgimento sensoriale. L’opera, caratterizzata dal disco solare e dalla mezzaluna, simboleggia equilibrio e armonia, sfidando le gerarchie implicite negli spazi pubblici e sociali.
Padiglione Benin
Everything precious is fragile scaturisce da una profonda esplorazione delle culture Yoruba.il padiglione invita il pubblico a scoprire la resilienza e la saggezza, elementi fondanti della cultura Beninese immaginando un futuro compassionevole.
Padiglione Filippine
Il Padiglione delle Filippine presenta Sa kabila ng tabing lamang sa panahong ito (Aspettando semplicemente dietro il sipario di quest’epoca) di Mark Salvatus, un allestimento di sculture in tessuto e rocce in vetroresina. Salvatus esplora le etnoecologie del monte Banahaw e della sua città natale Lucban, materializzando la vitalità mistica della montagna attraverso suoni, luci e sculture di pietra. Le storie della cultura musicale delle comunità circostanti e i riverberi delle loro vite rivoluzionarie e politiche si manifestano in uno schema planetario, rendendo palpabile la loro presenza.
Padiglione Italia
Il Padiglione Italia alla Biennale di Venezia continua a rappresentare un evento di grande rilievo per il mondo della cultura, in linea con la visione di Gabriele D’Annunzio che, alla chiusura della prima edizione, descrisse l’esposizione come un appuntamento imperdibile. Quest’anno, il padiglione è curato da Luca Kuri e presenta il progetto Due qui/To Hear di Massimo Bartolini, che integra interventi di diversi creativi in una pratica collaborativa e multidisciplinare. Il titolo del progetto sottolinea l’importanza dell’incontro e dell’ascolto attivo come strumenti per sviluppare una maggiore consapevolezza della diversità e della complessità del mondo che ci circonda, promuovendo così la creatività italiana su una scena internazionale.
Repubblica popolare cinese
La mostra del Padiglione della Repubblica Popolare Cinese utilizza due caratteri che significano radunare, convergere e raccogliere per sottolineare il concetto di integrazione, invitando all’assorbimento, all’accettazione e al dialogo reciproco. Questi caratteri possono anche essere tradotti come Atlante, simbolizzando l’essenza dell’intercomunicazione e la formazione di un senso di comunità. La mostra è divisa in due sezioni: Raccogliere e Tradurre. La sezione Raccogliere documenta 100 dipinti cinesi conservati all’estero, provenienti da un archivio digitale, che ripercorrono il viaggio dalla perdita fisica al recupero digitale, evidenziando il processo di collezionismo. La sezione Tradurre enfatizza il concetto di ereditare e divulgare, con artisti che espongono opere che cercano di bilanciare la tradizione con la contemporaneità e la dimensione regionale con quella globale. L’obiettivo della mostra è promuovere un cambiamento di paradigma dalla differenza alla coesistenza, riattivando e diffondendo la saggezza radicata nella cultura tradizionale cinese, che sostiene l’armonia nella diversità e la bellezza condivisa.
Chiudiamo con l’opera del Collettivo Claire Fontaine, esposta nelle Gaggiandre dell’Arsenale, sotto le due imponenti tettoie acquatiche un tempo destinate al ricovero delle galere a remi, che considero il punto più affascinante dell’intero complesso. Questo spazio, coperto e suggestivo, è stato trasformato in un ambiente immersivo riempito da una serie di sculture al neon che enunciano Straniero Ovunque in più lingue. L’installazione evoca il palpabile senso di straniamento sperimentato dagli individui che cercano di orientarsi in una società globalizzata, un sentimento che tocca da vicino migranti e altri gruppi emarginati. Comprende oltre 50 lingue, inclusi diversi idiomi indigeni, alcuni dei quali sono ormai estinti. Fondato a Parigi nel 2004 dal duo italo-britannico Fulvia Carnevale e James Thornhill, il Collettivo Claire Fontaine, con sede a Palermo, affronta tematiche di impotenza politica e crisi della singolarità nell’arte contemporanea. Utilizzando una vasta gamma di mezzi, dal neon al video alla scultura, il collettivo rifiuta la mercificazione dell’arte e adotta una pratica collettiva di resistenza, promuovendo approcci sperimentali attraverso la condivisione di creatività e conoscenze. La scrittura gioca un ruolo fondamentale nel costruire una gerarchia consolidata tra espressione visiva e verbale.
E con questa ultima foto vi salutiamo e vi diamo appuntamento alla prossima Biennale d’Arte di Venezia!
Vi lasciamo anche con un piccolo video riassuntivo dell’evento, per rivivere insieme i momenti più significativi. A presto!